GEOGRAFLY: LA MOSCA E LA MAPPA
Altre mosche. A cura di Andrea Pase
Disegno di Paolo Giaretta
Ciò che rimane di un trauma fatale, conservato in un antico manoscritto arabo.
Immagine segnalata da Martina Caroli e Silvia Tebaldi.
© Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Biblioteca Universitaria di Bologna, Ms.3375 c.4 v., dettaglio.
È fatto divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo.
Altri occhi, Sara Isello, 2020
© Diritti riservati
Acquerello di Silvia Tebaldi, Mosca, 2020
“… allí donde los ángeles supremos, la mosca y el alma son semejantes…”,
da Meister Eckhart, Beati pauperes spiritu, predica citata nel capitolo 70 del romanzo Rayuela di Julio Cortázar, 1963.
Per la traduzione, vedi in Citazioni.
Venere acchiappamosche (Dionaea muscipula) in azione.
Non si può dire che non abbia buoni gusti! Foto (e pianta) di Alberto Diantini
Guerra alle mosche! Volantino degli anni ’40 del Novecento. Collezione di Alberto Girardi
Flit. Munizioni per la guerra alle mosche. Pubblicità degli anni ’20 del Novecento. Collezione di Alberto Girardi
Moscarola, trappola per mosche. Prima metà del Novecento. Collezione di Alberto Girardi
Minettia longipennis (Fabricius, 1794), acquerello di Franco Mason, ditterologo amatore, Verona
Bibio femoralis (Meigen, 1838), acquerello di Franco Mason, ditterologo amatore, Verona
Sarcophaga vagans (Meigen, 1826), acquerello di Franco Mason, ditterologo amatore, Verona
Clitellaria ephippium (Fabricius, 1775), acquerello di Franco Mason, ditterologo amatore, Verona
Bersaglio. La spinta gentile: signori maschi, per favore prendete la mira (foto di Andrea Pase)
La bananità della mosca. Foglia di banano con mosca in controluce. Foto di Alberto Schön
Dal sito https://sottoosservazione.wordpress.com/2009/06/08/%C2%ABil-mio-schulz-segreto%C2%BB/
«Il mio Schulz segreto», di David Grossman per “L’Espresso”
Si chiamava Bruno Schulz. È stato uno degli scrittori più importanti del secolo scorso.
“Quando Schulz era ragazzo, una sera malinconica, sua madre Henrietta entrò in camera sua e lo trovò che nutriva con granelli di zucchero le ultime mosche rimaste al termine del freddo autunno. “Bruno”, gli domandò, “ma che fai?”. “Le sto irrobustendo per l’inverno”.
“Ogni volta che apro un suo libro mi sorprende come questo autore, quest’uomo, che raramente aveva lasciato la sua città natale, abbia creato un intero mondo per noi, una realtà unica nel suo genere, e come ancora oggi, molti anni dopo la sua morte, continui a nutrirci con granelli di zucchero – e briciole di pane – irrobustirci in previsione di un gelido e infinito inverno.”
“Quanto all’esercito”, riprese la parola Barabba, “quello di non esserlo è proprio la nostra forza. Noi non dobbiamo essere un esercito, dobbiamo essere dei nessuno. Dobbiamo essere anonimi, invisibili, indistinguibili. Un’armata di piccoli Odradek, incomprensibili al potere e proprio per questo inafferrabili”. Barabba fece una pausa, che serviva ad aguzzare l’attenzione degli astanti. “I romani avevano un motto: Aquila non captat muscas. L’aquila non cattura le mosche. Lo usavano per dire che le persone miserabili non entrano nemmeno nel campo visivo delle persone di alto rango. Ma è vero anche il contrario: per rendersi irreperibili alla macchina del potere e della violenza statale bisogna farsi piccoli e impercettibili. Bisogna divenire mosche.” (p. 331).
“Equatore, meridiani e paralleli del mappamondo erano per gli uomini quello che la carta moschicida era per le mosche; infuriava la guerra e il disperato ronzio di quei ditteri ubiquitari che agonizzavano in una colla dolce e sciropposa si mescolava al passaggio intermittente di formazioni di bombardieri.
La nostra casa era isolata e non c’erano bambini con cui giocare.
Come il crepitio dei pidocchi di Rimbaud, i due ronzii, mosche e aerei, cullavano le mie lunghe indolenze” (p. 34).
contro il vetro
ci mette tutta la sua forza. Non lo vede
l’ostacolo? non lo realizza l’urto?
oppure è quel fazzoletto di cielo
che le fa felicità solo a guardarlo e allora
vale la pena non capire, continuare
a farsi male e sempre sbattere, sbattere
la testa.
“- Lo sai com’è nata la geometria analitica? Un tipo di nome Descartes vide una mosca sul soffitto. Un milione di persone prima di lui avevano guardato mosche sul soffitto, ma c’è voluto René Descartes per farne una scienza. Adesso gli ingegneri ogni giorno utilizzano quello che lui ha scoperto, ma se non fosse stato per lui, saremmo ancora nel buio.
– A chi interessano le mosche? – chiese Sybil” (p. 28).
“La leggenda narra che Cartesio, accampatosi durante uno dei suoi viaggi al seguito dell’esercito francese, si sdraiò sul proprio letto per riposare. Intenzionato alla fondazione di un metodo scientifico rigoroso e oggettivo, si mise ad osservare la propria stanza. Assorto nei suoi pensieri vide una mosca svolazzare all’incrocio degli angoli della propria finestra: in quel momento intuì che se avesse calcolato la distanza tra l’asse verticale e l’asse orizzontale della cornice, rispetto al volo irregolare della mosca, avrebbe saputo esattamente dove questa si trovava, e avrebbe potuto tracciare la traiettoria compiuta dall’insetto durante il suo volo.
È da questa intuizione che il Filosofo sembra aver preso spunto per la creazione dei suoi famosi “assi cartesiani”.
Questa storia su Cartesio, per quanto non avvalorata da alcuna documentazione ufficiale, tuttavia, è assolutamente realistica.” (Omar Montecchiani, La mosca di Cartesio: corpo, mondo, relazione, http://www.psychiatryonline.it/node/6264)
“[…] prima che le creature fossero, Dio non era Dio, ma era quello che era. Quando le creature furono e ricevettero il loro essere creato, Dio non era Dio in se stesso, ma era Dio nelle creature.
Ora diciamo che Dio, in quanto è Dio, non è il più alto fine della creatura. Infatti anche la più piccola creatura in Dio ha una altrettanto alta dignità. E se avvenisse che una mosca avesse intelletto, e potesse ricercare per mezzo di esso l’eterno abisso dell’essere divino dal quale è venuta, allora dovremmo dire che Dio, con tutto ciò che è in quanto Dio, non potrebbe dare a questa mosca compimento e soddisfazione. Perciò preghiamo Dio di diventare liberi da Dio, e di concepire e godere eternamente la verità là dove l’angelo più alto e la mosca e l’anima sono uguali; là dove stavo e volevo quello che ero, ed ero quel che volevo”.
Traduzione tratta dal sito: http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/misticacristiana/predicheeckhart.htm
“Le mosche non riposano mai perché la merda è davvero tanta.” (Alda Merini)
“Mangiate merda, milioni di mosche non possono sbagliare.” (anonimo)
“L’occhio della rana è un’immagine efficace per dire come lo specialismo sia un’abilità ma anche un limite. La rana è capace di percepire il minimo vibrare di un’ala e per automatismo fa scattare la lingua. Se però è circondata da mosche morte, che sarebbero per lei un ottimo alimento, e non c’è neanche un filo di vento, la rana resta digiuna. Lo specialismo in questo caso può far morire di fame. Così lo specialismo delle idee e delle professioni: se da un lato si è garantiti e uscirne significa esporsi al rischio, dall’altro è vero che senza rischi finisce anche un po’ la vita.”
Andrea Canevaro in Animazione Sociale n.11/1998, p.20
“…Affida le tue ferite all‘operazione chirurgica di un maestro.
Le mosche si raccolgono sulla ferita, la ricoprono.
Queste mosche sono i tuoi sensi di protezione,
il tuo amore per ciò che pensi sia tuo;
lascia che il maestro allontani le mosche con la mano
e ponga una benda sulla ferita.
Non voltare la testa. Continua a guardare,
dove sei stato medicato. E‘ lì che la Luce ti penetra.
E non pensare neppure per un momento
che tu ti stia curando da solo.»
Rumi
“Per ottenere ciò che credo saggio e doveroso da parte mia, che credo sia importante per il bene dell’umanità, non schiaccerei una mosca.”
Papa Giovanni XXIII, riportato da mons. Loris Capovilla in Mosaico di pace, n.8/2006, p.5
Filastrocca per contare, di Gianni Rodari
Zero mosche sopra un prato,
uno struzzo addormentato,
due api nere e gialle,
tre bellissime farfalle,
quattro gatti sopra al letto,
cinque topi sotto al letto,
sei pinguini infreddoliti,
sette polipi impauriti,
otto cani in compagnia,
nove pesci in allegria.
(A volte si può andare anche di sottrazione…)
A mosca cieca, di Arpalice Cuman Pertile
O mosca, o moschettina,
sei cieca, poverina!
Sei cieca, sei bendata
e annaspi disperata.
Chi dunque vuoi pigliare?
La benda a chi vuoi dare?
Ti tocco e non mi vedi,
t’inganno e tu mi credi…
sei cieca, poverina
o mosca, moschettina!
(da: “Il Giorno dei Piccoli”, 1944; presente anche ne “I Quindici”, Enciclopedia dei ragazzi)
“A volte non sembrano neanche mosche. Alcuni [sirfidi: estesa e composita famiglia di insetti dell’ordine dei Ditteri, che comprende oltre 6000 specie] assomigliano alle vespe, altri alle api, ai terebranti, agli estridi o a quelle zanzare filiformi, dalle zampe delicate, tanto piccole che la gente normale nemmeno ci fa caso. Diverse specie hanno l’aspetto di grossi, ispidi bombi, con tanto di ronzio e di polline sulla peluria. Solo l’esperto non si lascia ingannare: non siamo in molti, ma viviamo a lungo” (p. 18). Pare convenga, quindi, interessarsi alle mosche.
E questa seconda, su psicologia e mosche: “Ho la precisa sensazione che i freudiani, in genere, abbiano un’idea troppo vaga delle passioni che possono trovare espressione, per esempio, nella caccia alle mosche” (p. 75).
“Tutto questo lo capivo bene, scendeva come miele nella mia testa, e sotto il tavolo strinsi forte e cordialmente la mano del signor Lakatos. Egli fece un cenno per chiamare una zingara, poi una seconda e una terza. Forse erano anche di più. A una, comunque, quella che si era seduta al mio fianco, mi abbandonai completamente. La mia mano rimase imprigionata nel suo grembo come una mosca nella ragnatela. Qualcosa di caldo, di confuso, di assurdo, ma era lo stesso una grande felicità” (pag. 37)
“Era l’ufficio di polizia. Due poliziotti stavano sulla porta. Un funzionario era seduto al tavolo, intento a catturare le innumerevoli mosche che, con un forte, continuo e penetrante ronzio, svolazzavano per la stanza e si posavano sui fogli bianchi che stavano sparsi sulla scrivania. Ogni volta che catturava una mosca, la prendeva tra il pollice e l’indice della mano sinistra e le strappava un’ala. Poi immergeva la mosca nel grande calamaio di porcellana bianca macchiata d’inchiostro” (pag. 50)
Aggrauglià ‘mbònta nu mattune
stai,
e nu moscone ca te runna attuorno
pare ca te canta ‘na ninna nanna
ma tu duorme … strunz !
Anonimo napoletano
“Ci chiamavano le mosche. Perché brulicavamo come mosche su una gigantesca discarica, dove cercavamo qualcosa di buono tra i rifiuti” (Calì D., Ci chiamavano le mosche. Illustrazioni di Quarello M., Orecchio acerbo, Roma 2020).
“Mi sono convinto che studiando i cervelli miniaturizzati di creature come le api o le mosche dovremmo riuscire a enucleare i princìpi di funzionamento basilari delle menti” (p. 15). “Per campionare il mondo gli animali dotati di mini-cervelli hanno bisogno di più tempo, perché possiedono meno neuroni, ma in natura possono compensare questo svantaggio con un’attività motoria molto veloce e molto intensa, come fanno ad esempio mosche e moscerini muovendosi nell’ambiente” (p. 54). Sulla visione della mosca: pp. 79-80 e il capitolo 15, “La mosca dalla testa storta”. Da: Vallortigara G., Pensieri della mosca con la testa storta, Adelphi, Milano 2021.
Ecclesiaste, 10, 1: “Una mosca morta manda a male tutto un vasetto di unguento, un po’ di stoltezza ha più peso della sapienza e della gloria”.
“Un solo errore può far fallire tante cose ben progettate […]: basta una piccola mosca morta, perché tutta una bottiglia di profumo vada a male!”. Traduzione ed esegesi di Sacchi P., in: Ecclesiaste, Edizioni Paoline, Alba (Cn) 1971, p. 204.
(Rumiz P., Vento di terra. Istria e Fiume: viaggio tra i Balcani e il Mediterraneo, Bottega Errante Edizioni, Pordenone 2020)
“Sono io. La mosca. E non esisto.
Hai saputo di me perché ti volavo intorno. Ho fatto un po’ di giri, un lieve suono, mi sono intrufolata nei tuoi capelli. Con qualche evoluzione ho danzato intorno alla tua mano per fuggire via. Poi sono scomparsa. Una spirale di nuovi interessi mi ha risucchiata. Forse la finestra era aperta, il palazzo aveva ancora un piano, forse tutto quell’odore di sangue –– che dici ––– ?
– Cazzo.
Tu hai detto Cazzo. E io sono ritornata a non essere. A non esistere.
Verso l’odore del sangue.
E ti ho lasciato la mia merda addosso.” (p. 11)
L’illustrazione in copertina di Manfredi Ciminale è molto “geografly”, con quella mosca gigante il cui corpo assume la forma del Cupolone.
Sempre a proposito di mosche…da un testo buddista:
“Anche se sono una persona di scarsa abilità, mi sono riverentemente dedicato allo studio del Mahayana. Una mosca blu, se si posa sulla coda di un buon cavallo, può viaggiare diecimila miglia, e la verde edera che si abbarbica intorno al possente pino può crescere fino a mille piedi. Io sono nato come figlio dell’unico Budda, Shakyamuni, e servo il re delle scritture, il Sutra del Loto. Come potrei osservare il declino della Legge buddista e non essere colmo di pietà e rammarico?”
Dal Gosho “Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese” (Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, volume I, pag. 18)
Varie presenze “moscate” sui Colli Euganei:
Mosca de Checón
Conca a vigne e prati sull’unghia nordovest di monte Caste’on, poco a
nord dei Bagni de san Bortolo. Ora Fattoria San Bartolomeo.
Checon è soprannome di una famiglia Marchioro (p. 167).
Moschìne
Suggestiva valletta tenuta a vigneti tra la stradella che sale al Covolo e al Cavamorti e la vecchia casa Ceconeo. In questa conca luminosa si sono rinvenuti resti di una villa rustica romana e vi rimane ancora, ai margini di una riva boscata, un masso squadrato di trachite che fu la base di un torchio oleario. Da muscus, muschio (Pellegrini, 1990, p. 344 e Olivieri, 1961, p. 59; ripreso anche in Prosdocimi, 2015, (pp. 240, 241)
Moscàte
Vigneto sotto casa Zanaica, sul lato est della Strada Fonda che dal borgo scendeva per la costa di Montalban (p. 331)
Moscata
Piccolo coltivo a lato dei Tonboi, che guarda il Calto dee tassare e la Comunia (p. 374).
Da: Antonio Mazzetti, I nomi della terra. Toponomastica dei Colli Euganei, Seconda edizione riveduta ed ampliata, Cierre, Sommacampagna (Vr), 2020.
https://edizioni.cierrenet.it/volumi/i-nomi-della-terra-2/
Antonio Prezioso, Un uomo Prezioso, Quaderni di AltaVita IRA, Padova 2021.
MOSCA (1)
Si possono allargare o restringere
i confini
come effetto di luce o come desidêri,
avere compagna una ronzante mosca
e intorno il silenzio,
incredibile silenzio della notte.
Dalla raccolta “Il pennino d’oro”, Zielo, Padova 1990, p. 24.
MOSCA (2)
Amabile insetto
che sul mio naso
impudente ti posi
insensibile
alle gerarchie del mondo,
a tuo modo fedele.
Ecco, ti offro la mia mano,
leale ricompensa
al tuo coraggio estremo
nel gioco
d’un’effimera vita.
Dalla raccolta “Fiori di roccia. Versi residui”, Zielo, Padova 2013, p. 52.
Oggi è morta una mosca
Dopo avere volato
Tanti anni da sola
Bassa bassa su un prato.
Un prato non è mai abbastanza grande
Perché una mosca ci si perda,
Ritrova sempre il suo cespuglio,
Il suo dolce odore di merda.Le mosche procurano noia
Se volano a schiera unita;
Da sole non danno fastidio:
Si schiacciano dentro due dita.
Oggi è morta una mosca
Digrignando gli ultimi denti,
Subendosi l’ultima beffa,
La morte appartiene ai potenti.
Oggi è morta una mosca
Oh, mio dio che sfacelo!
Ronzare noiosamente
Tanto lontano dal cielo.
Oggi è morta una mosca,
Crack! l’ultimo colpo di ali.
Fortuna che noi siamo uomini,
Fortuna che siamo immortali.
Oggi è morta una mosca,
Muriamola nel suo alveare
Insieme a tutte le altre
Onoriamola con un piccolo altare…
Almeno però non si perda
Il senso degli ultimi stenti,
Alle mosche rimane la merda,
Il cielo appartiene ai potenti.
La mosca che danza in mezzo alla stanza
Percorre grovigli diretti a metà
La osservo rapito da tanta costanza
Cercando una logica nel gioco che fa
La mosca è un dilemma che mi ronza in testa
Attratto dall’ambiguità
La mosca che morde preannuncia tempesta
Che annacqua le mie verità
Io starò con lei fino all’ultimo giorno
Penserò solo a lei senza guardarmi intorno
Intanto la mosca esausta si posa e riposa sul muro di casa
Si sfrega le zampe con aria golosa mi guarda e in fondo lo sa
Che nelle mie mani ho un romanzo di prosa
Che parla di un giovane e della sua sposa
Forse si aspetta un finale a sorpresa che temo non arriverà
Perché ho voglia di lei
Questa è l’unica cosa
E non sarà una mosca a rubare
Il profumo alla rosa
Perché io sarò con lei
Come un’unica cosa
E non sarà una mosca a macchiare
Il vestito alla sposa
https://www.focus.it/cultura/storia/i-formaggi-tutto-merito-di-una-mosca-preistorica
Un luogo improbabile per un incontro al volo. Di sicuro impatto. Spaciak!
Il luogo è il padiglione della Regione Veneto al Salone del libro di Torino, maggio 2023. L’occasione è la presentazione dei libri di poesia di Silvia Comoglio, subito seguita da un incontro su un volume collettaneo di ricerche relativo ai quartieri “fuori le mura” di Padova.
Come non riconoscersi tra Geografly e scacciamosche (Ed. puntoacapo)?
Dopo qualche giorno, arriva per posta un dono prezioso di Silvia:
se tu moschi e io scacciamosco
la mappa si mappa e si smappa
aprendo la carta al retro della scala, ossia:
a quel nostro impeto di mondo
che la mosca, dice, nel suo volo
Ecco, dunque, che si dilata “questo incontro/volo/rincorsa di mosche e scacciamosche, lì a contendersi mappe e luoghi dove lasciare le proprie tracce, e parlare e far parlare di sé. Si sfidano e ci sfidano? Chissà, di certo amano stare al centro della mappa e quindi della nostra attenzione. Come allora non accontentare e le mosche e gli scacciamosche. E come non seguirli nella loro animatissima disputa. Entrambi con le loro ragioni e il loro desiderio di libertà. Che poi coincide con quello di poter avere la mappa tutta per sé.” (SC)
Rimane, però, a questo punto ancora un nodo da sciogliere. Come è stato possibile questo incredibile e unicissimo incontro tra mosche e scacciamosche al Salone del Libro, dal momento che gli autori di Geografly e di scacciamosche niente sapevano l’uno dell’altra e delle loro rispettive pubblicazioni. La risposta è molto semplice, basta arrendersi all’evidenza. È stato possibile perché davvero “la mosca possiede doti magiche”. Quest’incontro ne costituisce sicura prova, meglio di così non lo si potrebbe certificare.
Ergo, non poteva che nascerne un nuovo capitolo di Geografly: ed è subito Ventuno!
Spaciak!
Per conoscere Silvia, ecco un utile punto di partenza:
https://site.unibo.it/atlante-poeti/it/poeti-nord-ovest/silvia-comoglio
Non so se lo sai, ma ho aperto anni fa una delle vie invernali – sempre di geografia, di prossimità, si tratta – più apprezzate di tutte le Piccole Dolomiti, su Cima Mosca, Gruppo del Carega. Guardati le foto qui!
Vicino a Intramosca, poi avevamo fatto pure Hypermosca, una variante a Supermosca, aperta da miei amici anni prima, ma poco accessibile e incasinata nella parte bassa, che nessuno fa. Noi l’abbiamo migliorata e trovato la chiave migliore di accesso alla parte superiore.
Intramosca è diventata invece il must di tutti gli alpinisti che frequentano le Piccole d’inverno.
Infine, qualche anno dopo sempre “sulla” Mosca ho aperto una via italo-polacca – metaforicamente (i polacchi sono fortissimi d’inverno) – denominata Vajo Bettega-Maslowsky (dal cognome delle nostre compagne).
http://www.intraisass.it/scheda_intra12.htm
Insomma, la mosca a volte è pure qualcosa di bianco, che non si posa sulla merda liquamosa della stessa acqua che defluisce da quelle stesse montagne, montagne che sono ancora le sorgenti dell’Agno-Guà. Agno-Guà, che da cristallino diventa fogna passando attraverso il nordest spannoveneto contemporaneo. C’è poco altro da dire, e molto da fare. Per cambiare le cose.
Alle 15.30 sono sceso in cortile per vedere a che punto è salita la luna. Ed era perduta in alto, quasi allo zenit, che dovevo quasi capovolgermi per osservarla.
Prima di scendere, nell’aprire la porta di vetro e alluminio che dà sulla scala di sasso, ho incrociato un moscone grande, grande, prigioniero contro il vetro e non riusciva a scappare e nemmeno ad uscire. Con il piede e la scarpa l’ho spinto sul varco che dal pianerottolo precipita giù per la scala e solo allora è volato via in direzione della luna, ma senza arrampicarsi sulla perpendicolare dello zenit e raggiungerla.
Volo assieme alla mosca sul libretto prezioso; che non rifugge di scrivere merda. Puà!
Curioso mi fermo sull’anatomia della mosca. Intrigante sull’ombra che ci appartiene e che non riusciamo a toccare. Custode nostro e guardiano.
Poi sono passato volando sulla Bibliografly e sentivo già sull’ultima pagina il ronzio insistente delle numerose mosche che occupano le pagine bianche, quasi assistenti alla tua lezione di geografia che mi vogliono fermare per raccontarmi altre cose, oltre la guerra, oltre l’anatomia, oltre la morte, oltre il territorio che si riempie di case e capannoni, mosconi, e discariche che manco i topi le cercano. Trappole per quattro soldi di salario, che poi ti trovi barcollante in ospedale con la flebo al braccio che ti salva ed è un veleno che ti scuote e ti fa vibrare fino a tremiti della morte. La mosca. Dimmi un nome che comincia per emme! No, ancora? Preferisco la carta bianca. Ferme lì. Voi, ragazze birichine.
Mi è venuto in mente che da noi in Piemonte si dice muschìn (moscerino) delle persone irritabili, permalose, che se la prendono facilmente. Ci sarà qualche collegamento con il geofly pensiero?
Una mosca si posa su un bicchiere e cade dentro. Che schifo!, direbbero tutti.
Ma il bicchiere è riempito da un distillato particolare, che ricorda il viaggio per i campi degli acquaioli di Ischia, quando portavano ai contadini la loro dissetante bevanda a base di acqua e anice: la sambuca, dal 1945. Allora questa mosca che galleggia, che è il chicco di caffè tostato, non fa poi così schifo, anzi impreziosisce il liquore in questione, esaltandone il sapore quando il chicco viene morso. Si morde la mosca, e la vita si fa dolce. Pare, infatti, che questa tradizione risalga alla famosa pellicola felliniana, quando, durante una pausa, Marcello Mastroianni fece cadere un chicco di caffè nella sambuca gridando “c’è una mosca!”.
Fonti:
– https://ricerca.gelocal.it/
– https://www.dersutmagazine.it/
Penso che ognuno di noi avrà provato almeno una volta nella vita a catturare una mosca, magari anche a mani nude, senza però riuscirci. Nel libro, Andrea lo descrive bene: le migliaia di occhietti di quest’insetto (ommatidi) inviano al cervello impulsi luminosi ad alta frequenza, quasi come se la mosca avesse una visione del mondo al rallentatore. Insomma, per catturarla bisogna essere veloci e, se possibile, anche furbi. Come una pianta. Cosa? Una pianta può essere veloce e pure furba? Certo, ne è un chiaro esempio la venere acchiappamosche (Dionaea muscipula), la pianta carnivora per eccellenza, che con le sue “bocche” è in grado di catturare ciò che vi si posa sopra, come le mosche. Queste bocche, in realtà, sono delle foglie modificate sulla cui superficie viene prodotto un liquido zuccherino che attira gli insetti. Su ciascuna delle due metà della foglia vi sono tre corti e quasi invisibili peli sensoriali. Possiamo immaginare quindi la scena di caccia: un’ignara mosca (o un altro insetto) si posa sulla foglia pregustandosi la dolce scorpacciata, tocca inavvertitamente uno di questi peli e le due metà si chiudono intrappolando la vittima. A dire il vero non va esattamente così: non basta che l’insetto tocchi una volta un pelo per far scattare la trappola, ma ne deve toccare almeno due nel giro di 20-30 secondi. In questo modo la pianta è “sicura” di aver catturato qualcosa di nutriente e non, magari, una foglia caduta da un albero o qualcos’altro di poco sostanzioso. Una volta intrappolato, l’insetto tenterà di fuggire e, muovendosi, toccherà ancora i peli, ottenendo come risposta una stretta ancora più energica da parte della foglia. Quando l’animale non potrà più muoversi, la foglia produrrà degli enzimi che, come i succhi gastrici del nostro stomaco, digeriranno l’insetto. Incredibile, no? Già, tanto che, da quando questa pianta è stata scoperta nel 1760 nelle paludi del Nord America, c’è voluto un po’ per accettarne la natura predatoria. Ad esempio, quando la venere è stata presentata a Linneo, il grande botanico di allora, questi si è rifiutato di riconoscere che fosse in grado di cacciare insetti. Infatti, secondo il rigido pensiero scientifico di quel tempo, era inaccettabile anche solo immaginare che alcune piante potessero nutrirsi di animali. Per rendere ragione della vera natura di questi vegetali si dovette attendere il 1874, quando nella prestigiosa rivista Nature uscì un articolo che descriveva le peculiarità della venere acchiappamosche. Questo articolo si basava sugli studi di Charles Darwin, pubblicati l’anno seguente nel libro Piante insettivore. La venere acchiappamosche ci mostra che le piante possono essere diverse da come siamo abituati a pensarle. Non solo le piante carnivore, ma tutti i vegetali sono esseri senzienti in quanto dotati di sensi: i nostri cinque…più una quindicina che hanno solo loro!
Cosa sarebbe successo alla mosca della foto di Alberto Schön se nei pressi ci fosse stata una venere acchiappamosche? Sarebbe stata catturata dalla mappa o dalla pianta? Come Andrea scrive nel suo libro, la mappa può essere pericolosa, in quanto può fungere da trappola. Così anche la venere (in inglese venus fly-trap), capace di intrappolare gli insetti. Sia la mappa che la venere, però, possono anche offrirci un interessante cambio di prospettiva sul mondo che ci circonda.
Per approfondire:
Chamoviz D. (2012). Quel che una pianta sa. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Darwin C. (1875). Piante insettivore. Murray.
Mancuso S. (2013). Verde brillante. Sensibilità e intelligenza el mondo vegetale. Giunti Editore, Firenze.
Venus’s Fly-Trap (Dionaea muscipula). Nature 10, 127-128 (1874).
Una campagna piatta, deserta e monotona, una distesa sconfinata di terre coltivate, prive ormai da tanto tempo di alberi frondosi, di filari di piante secolari, di siepi che un tempo segnavano i confini e le proprietà. Questa è la terra del basso veneto, anche di Caselle, piccola contrada di Noventa Vicentina, dove nel in questi ultimi decenni il paesaggio è radicalmente cambiato, dove al posto degli edifici rustici e dei semplici casolari sono sorti lunghi e anonimi capannoni, al cui interno convivono, a stretto contatto l’uno dell’altro, centinaia e centinaia di torelli da ingrasso, orde sconfinate di tacchini e di polli certamente non più ruspanti. E questa massa di bestie in batteria produce in continuazione accumuli di merda, masse enormi di merda, montagne di merda, sempre più sviluppate in altezza, sempre più minacciose, masse oscure e maleodoranti che si offrono impunemente allo sguardo e all’odorato del passante di turno.
Il bravo professore, in tempi non lontani, mi aveva chiesto se a Caselle ci sono le mosche. E come puoi pensare che a Caselle non ci siano le mosche, ce ne sono tante e si ammassano soprattutto verso la fine dell’estate o ai primi di autunno, quando sei solito tenere ancora spalancate le finestre; è allora che, indesiderati ospiti, ti invadono la casa e, verso sera, si riuniscono in folte assemblee sul soffitto delle stanze; stanno lì, immobili, aspettano non si sa bene cosa e ti osservano con i loro occhi sfaccettati e sporgenti, costringendoti a una lotta impari, a un impegno di bonifica che sa già di sconfitta. Ti armi allora di micidiali palette, di piastrine puzzolenti e di gas repellenti che sortiscono però miseri effetti, perché le mosche continuano a stazionare e, nella loro ostinata immobilità, sembrano provocarti e sfidarti a stanarle definitivamente dalla tua dimora. Quelle poi che hanno scelto di stabilirsi nella tua camera da letto, attendono solo che tu accenda la luce per planare, attirate dalla calda lampadina sul comodino, sulle lenzuola, sul cuscino e ti infastidiscono e, se le scacci, tornano alla carica e poi ritornano ancora e ti impediscono di leggere un libro o una rivista in santa pace; si acquietano soltanto quando spegni la luce, ma si fanno da parte solo per lasciare il posto alle altrettanto micidiali zanzare. E hai un bel coraggio ad augurare alla tua compagna la buonanotte, sarà invece una notte d’inferno.
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La lotta alle mosche e ai mosconi è una lunga storia, che attraversa l’intero cammino dell’umanità. Senza risalire alle bibliche piaghe segnate dall’invasione di insetti molesti, ci si può soffermare, per un attimo, su alcuni episodi legati alla storia più recente, quella dei nonni e dei bisnonni, soprattutto se legata ai luoghi o ai territori della nostra campagna. I documenti a tal proposito non mancano e testimoniano un impegno costante per risolvere il problema ma anche un fallimento pressoché totale, una serie di vana ricerca del rimedio definitivo dal momento che ancora oggi ne dobbiamo parlare come di un problema di ricorrente attualità. Ci hanno provato in tanti, con i provvedimenti più radicali, salvo poi dover rivedere le proprie posizioni anche perché i mezzi adottati si rivelavano, alla prova dei fatti, più pericolosi per la salute degli uomini, con il rischio pure di decretare la vittoria finale del molesto insetto sul campo di un’aperta sfida.
Già nel 1822, in pieno regime austro-ungarico, una notifica dell’Imperial Regio Governo di Venezia metteva in guardia contro l’uso, assai diffuso a quel tempo, della carta fumigatoria (Rauchpapier), perché “inverniciata con una copiosa preparazione di Mercurio sviluppa nell’adoperarla, specialmente abbruciandola, dei vapori mercuriali molto dannosi alla salute tanto da chi intraprende la fumigazione, quanto di quelli che si trovano nel luogo in cui si eseguisce”. Ne venne proibita la vendita e stessa sorte toccò, appena una ventina di anni dopo, a una carta moschicida, venduta da un certo Stefano Calderoni ai negozianti di chincaglierie e ai droghieri delle Provincie Venete. Sembra che l’oggetto in questione, che conteneva un preparato a base di arsenico, non corrispondesse nelle caratteristiche e proprietà al campione che era stato in precedenza sottoposto per l’approvazione all’esame della Facoltà Medica di Vienna.
Per venire a tempi più recenti, la lotta alle mosche riprese con rinnovato vigore nei primi decenni del Novecento, in piena epoca fascista. Negli anni Venti si affaccia sul mercato la Società Italo Americana pel Petrolio che, nell’ambito delle disposizioni per la lotta contro le mosche, si propone sul mercato con un prodotto davvero innovativo: il Flit, così pubblicizzato: “Tale prodotto oggetto di lunghe ricerche e pazienti studi, ha saputo dimostrare dopo tanti anni di prova di rispondere completamente alle esigenze della lotta intrapresa contro gli insetti in genere, ed è per questo che una pleiade di imitazioni l’ha tosto coronato, senza arrivare però alla sua efficacia e perfezione, perché, mentre raggiunge i massimi effetti nel suo compito, si rende assolutamente inocuo (sic) all’organismo umano”.
Il termine “Flit”, nome commerciale del liquido insetticida, deriva dall’inglese “fly-tox”, tossico per le mosche. Chi ha oggi una certa età ricorda ancora la pompetta del Flit, usata abitualmente nelle nostre dimore, con il caratteristico serbatoio cilindrico e con lo stantuffo caricato come una siringa per spruzzare il micidiale liquido nebulizzato nell’atmosfera. A questo proposito, una nota di colore è offerta dal motivetto scherzoso “Ammazza la mosca col flit”, versione italiana della canzoncina famosa negli Stati Uniti, ovvero “Shave and a Haircut, Two Bits”; la melodia divenne popolare in Italia alla fine della seconda guerra mondiale quando venne utilizzata per pubblicizzare appunto il Flit, ovvero il DDT. Quanto poi all’asserzione che il flit fosse del tutto innocuo per le persone avrei qualche serio dubbio, e una versione diffusa di quella canzoncina sembra confermare questa impressione perché recitava press’ a poco così: “Copa la vecia col flit, e se non basta col gas”.
Negli anni Trenta del secolo scorso vennero ripetutamente diffuse ordinanze per la nettezza urbana e per la lotta contro le mosche. Riguardavano la nettezza delle strade, la raccolta delle immondizie, la pulizia delle stalle e delle scuderie nonché quella dei negozi e degli spacci di generi alimentari. Una guerra persa, soprattutto in campagna, dove era consuetudine diffusa non solo tenere il letamaio a pochi metri dalla porta di casa e ospitare nelle stesse stanze in cui vivevano i cristiani, in una forma di convivenza coatta e di certo poco salubre, conigli, pollame e anche qualche piccolo suino, per il timore di essere facilmente e ripetutamente derubati dai tanti “foresti” di passaggio e dai malintenzionati.
Le disinfezioni comunque continuarono senza posa; oggetto di attenzione erano le scuole e gli asili, i locali di ristorazione, i negozi e i banchi dei venditori ambulanti, senza trascurare i tanti orinatoi pubblici, un tempo frequenti lungo le vie cittadine e nei paesi di campagna. Le massaie rurali, vera e propria istituzione fascista, erano incaricate, tra le altre mansioni, di distribuire alla popolazione foglietti volanti contenenti le principali norme per una efficace lotta contro le mosche
Nel 1938, per sensibilizzare le famiglie e in particolare le classi più giovani, l’Amministrazione provinciale di Vicenza, oltre a favorire la diffusione di ogni mezzo volto a debellare il problema (miscele arsenicali, fascetti e apparecchi imbevuti di sostanze disinfettanti, trappole, carte moschicide, ecc.), indisse una prima gara provinciale, rivolta agli enti pubblici tutte sul tema della “lotta contro le mosche” (chissà perché vennero esclusi i comuni di Vicenza, Asiago e Recoaro Terme). Il bando di gara prevedeva che ogni comune dovesse esporre un programma con l’illustrazione dei rimedi che intendeva adottare e delle modalità più appropriate “per la più efficace condotta della lotta in oggetto”. Un’apposita commissione avrebbe avuto l’incarico di visitare periodicamente, nei mesi successivi, i comuni partecipanti alla gara e di verificare l’efficacia dei risultati ottenuti; quelli più meritevoli si vedevano assegnata, a seconda del merito, un diploma di medaglia d’oro, quattro medaglie vermeilles (leggi “argento dorato”), otto medaglie di bronzo e quindici diplomi di benemerenza. L’iniziativa, a quanto pare, ebbe un certo successo, almeno a livello di partecipazione e venne ripetuta negli anni seguenti. Perché Le mosche nel frattempo, le perfide mosche, a puro titolo di cronaca, continuarono a diffondersi in gran numero e pressoché indisturbate.
Per combattere l’invasione periodica delle mosche ci si misero in tanti, enti pubblici e privati. Veniva intimato perentoriamente a tutti i cittadini: “Guerra alle mosche!”, “Allontanate le mosche!”, “Uccidete le mosche”, “Impedite alle mosche di posarsi sulla biancheria sporca, sulle immondizie, gli sputi, le feci, i letamai e in genere su ogni cosa dalla quale possono trarre le sorgenti dei terribili mali che diffondono”. “Diffondete nelle abitazioni, negli esercizi pubblici, nelle stalle l’uso delle carte moschicide o di altri mezzi di cattura in commercio”. Tra questi mezzi di cattura vi era un recipiente in vetro a forma di bottiglia, la moscarola, che aveva un’apertura alla base e che conteneva un liquido dolcificato con l’aggiunta di zucchero oppure con una miscela di latte, formalina e acqua zuccherata. Negli anni ’40 del Novecento si raccomandava poi l’impiego della miafonina berlese, prodotta dalla Società Italiana per l’Industria degli Zuccheri di Genova e la cui pubblicità asseriva che le mosche, avide di questo liquido limpido e dolciastro, dopo un’ora circa dall’averlo ingerito morivano avvelenate tra atroci tormenti. Ma il mercato del settore in quegli anni era particolarmente ricco di proposte: si andava dalla “Miacidina” Cormio prodotta dalla ditta Somia di Codogno, a base di siero di latte fresco di mucca, arsenito di sodio e formalina q.b., giusto per la conservazione del preparato, alla Mistura moschicida “Zef” dello stabilimento chimico farmaceutico Zambon di Vicenza, a base anch’essa di arsenito di sodio oltre a melassa e a sostanze aromatiche attrattive; la ditta offriva anche nel proprio catalogo l’italianissimo (siamo ancora in piena atmosfera fascista) insetticida liquido profumato “Ite” (esplicito invito rivolto alle mosche ad andarsene definitivamente fuori dai piedi), precisando nel foglietto che accompagnava la confezione che “nel giro di soli sei mesi (aprile-settembre) da una sola mosca domestica sopravvissuta ai rigori invernali possono nascere quattromila trilioni di insetti perfetti”.
Bombardati da queste orribili minacce di invasione, gli amministratori locali erano costretti a rivolgersi ai laboratori provinciali d’igiene e profilassi per rifornirsi, ogni inizio di estate, di casse di sublimato corrosivo o di moschicida “Robur”, oltre a damigiane di soluzioni saponose di acido cresilico e di moschicida arsiflorina. E chi non si poteva permettere di acquistare prodotti comunque assai costosi, si arrangiava come meglio poteva, ricorrendo a veri e propri “consigli della nonna”, dal macerato all’aceto e menta all’olio essenziale di eucalipto, dal pepe al limone e ai chiodi di garofano, dal basilico alla citronella. Senza dimenticare che, per evitare che le mosche entrassero nelle dimore, era consigliabile appendere vicino alle porte e alle finestre delle buste di plastica trasparente, essendo stato appurato che gli indesiderati insetti si spaventano e si allontanano nel vedere la propria immagine riflessa.
Così i “poveri” insetti, accusati di essere un temibile mezzo di diffusione di malattie infettive e parassitarie tra le più gravi (tifo, dissenteria, colera, tubercolosi, lebbra, carbonchio, e chi più ne ha più ne metta) sembravano non trovare più un posto sicuro e tranquillo dove posarsi e riprendere fiato.
Risolto dunque definitivamente il problema? Nient’affatto perché le mosche e i mosconi, se proprio non riescono nel volgere di pochi mesi a riprodursi nelle quantità più sopra indicate, continuano a garantire la loro fastidiosa presenza, a dispetto delle tante misure adottate se non proprio per eliminarle dalla faccia della terra, almeno per contenerne la diffusione. E noi, poveri umani indifesi, dobbiamo farcene una ragione e imparare a convivere più o meno pacificamente con i malefici ditteri.
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Le mosche, quando decidono di diventare ossessivamente noiose e fastidiose, ti si posano addosso, camminano senza troppe remore sulla tua pelle, ti fanno un sottile solletico con le loro fredde zampette; e allora la sfida diventa una lotta corpo a corpo. Dapprima le cacci con le mani, agiti a vuoto e in modo scomposto le braccia e ricorri, alla fine, alla micidiale paletta. Prendi di mira la preda di turno, aspetti il momento più propizio per abbassare con violenza l’arma nelle tue mani e la assali con un colpo secco. La mosca fa un sobbalzo, una veloce piroetta e con un doppio salto carpiato precipita al suolo. Tu credi di averla soppressa, ti illudi, ma quando dopo un attimo ne cerchi il cadavere, non la trovi più, è sparita, non è più lì; la cerchi e, se non si è velocemente ripresa dal trauma volando come se niente fosse accaduto, la vedi poco più in là, mentre cammina, o meglio zoppica malferma sulle zampe e con un’ala non più in asse con il resto del corpo. La tua rabbia si accentua ed è in quel momento che decidi, seduta stante, di colpirla ancora, non una ma due, tre volte perché non è giusto concederle partita vinta e perché la sua fine sia di esempio per tutte le altre mosche che, ancorate sul soffitto, hanno seguito con terrore la scena. O almeno tu ti illudi che lo stupido insetto abbia imparato la lezione.
Quando ero piccolo mi divertivo a catturare, con un veloce gesto del braccio e della mano, le mosche e poi correvo in cortile e le scagliavo contro un’ampia ragnatela che un grosso aracnide crociato aveva intelligentemente steso in un angolo tranquillo tra i rami di un arbusto del giardino. La osservavo mentre freneticamente e vanamente si dibatteva nel tentativo di sottrarsi a quella trappola mortale, facendo vibrare i sottili fili che trasmettevano al legittimo proprietario di quell’infernale strumento la sua presenza. E il ragno accorreva all’istante e non perdeva tempo ad avvolgere in un grigio e setoso bozzolo la preda tanto agognata, dopo averla resa inoffensiva e impotente con una decisa iniezione di una piccola goccia del suo veleno. Io e il ragno eravamo in qualche modo complici, anche se lui, l’astuto ragno, era convinto di essere l’unico artefice di quella cattura e mai avrebbe immaginato che anch’io avevo contribuito in misura determinate a risolvere il suo impellente problema di combinare, per quel giorno, il pranzo con la cena.
Tra le varie specie di mosche, e a questi ditteri il naturalista vicentino Paolo Lioy aveva loro dedicato un piccolo e prezioso trattato, ce ne sono alcune particolarmente antipatiche. C’è la mosca dorata, che ha la brutta abitudine di frequentare luoghi di merda, anzi di vivere di merde e che poi ti si presenta spavaldamente e come se niente fosse con la sua livrea verde dorata solo apparentemente elegante, una livrea che mi ricorda le giacche luccicanti di lustrini di certi presentatori di festival canori. La riconosci subito e ti sembra quasi che dal suo corpo emani una puzza di merda e ti costringi a scacciarla soltanto sperando che se ne vada senza costringerti ad atti più risolutori, perché ti fa un certo schivo schiacciarla con le usuali armi che hai a disposizione.
Poi, c’è una piccola mosca, la più insidiosa e la più vigliacca perché ti assale alle spalle, quando meno te lo aspetti. Colpisce sulla schiena, sulle spalle sul retro delle gambe, soprattutto d’estate quando indossi i calzoni corti o giri per il giardino a torso nudo. Ti accorgi della sua presenza quando è ormai troppo tardi, quando un rapido e lancinante dolore ti blocca, quando il suo minuscolo pungiglione è penetrato nella tua pelle, quando il perfido insetto ha già cominciato a succhiarti una piccola goccia di sangue. Qualche volta riesci a neutralizzarla, perché la sua ingordigia la invita a soffermarsi più del dovuto sul tuo corpo e allora quel che resta della piccola mosca dopo che l’hai sonoramente punita è solo un minuscolo e informe ammasso di peli, di ali e di zampette dal colore nero rossastro.
Un discorso a parte merita il moscone (il nome scientifico è tutto un programma, Sarcophaga carnaria), temuto perché si posa pericolosamente sugli alimenti lasciati incustoditi e vi deposita in un attimo le sue uova, giusta e naturale operazione, almeno dal suo punto di vista, perché gli sia garantita la sopravvivenza della specie ma che non mi sento per niente di condividere. Il moscone entra nella casa con un sonoro ronzio, esplora con un volo veloce tutte le stanze ed è allora che ti mobiliti per scacciare l’inopportuno e indesiderato ospite. Dapprima apri tutte le finestre nella vana speranza che se ne vada al più presto indisturbato, di sua spontanea volontà. Ma quello, sentendo la tua ostile presenza, accelera il volo, accelera il ronzio e diventa una nera saetta impazzita. Lo perdi di vista tanto è veloce il suo volo, l’occhio è più lento e allora cerchi di localizzarlo dal rumore che si lascia alle spalle. Ma il moscone vola basso, a venti, trenta centimetri dal suolo, fa slalom tra le gambe delle sedie e del tavolo e tu non hai le finestre all’altezza di venti o trenta centimetri da terra. Aspetti che si fermi da qualche parte, che al ronzio subentri il silenzio, lo cerchi sui mobili, sulle pareti, sui quadri e alla fine lo intercetti. Lui è fermo e mentre ti avvicini con circospezione, paletta alla mano, lui ti vede e ti osserva perché, lui, a differenza di te, non ti ha mai perso d’occhio e quando gli sei molto vicino, quando alzi il braccio per abbatterlo, lui, che nel frattempo ha ripreso fiato e recuperato le forze, schizza via in un attimo e riprende la sua corsa disperata, mai però verso la finestra spalancata.
Nel corso di ogni inverno, quando scarseggia il nutrimento per gli uccellini che ospito nel mio giardino, sono solito procurare loro le larve delle mosche, i bigatini, e così, anche nella stagione più fredda, può accadere che un moscone che da quelle larve ha preso il volo, dopo aver evitato di essere infilzato dal becco di un merlo o di un pettirosso, entri in casa con grande disappunto di mia moglie che non si sa spiegare come riescano a sopravvivere in così rigide condizioni climatiche questi esseri immondi; e io non trovo il coraggio di confessarle che all’origine di tutto c’è il gesto francescano di un amante della natura e degli animali selvatici.
Ma, dopo queste brevi divagazioni, in cui spero di aver chiarito la mia posizione nei confronti di un soggetto tanto sgradito, mi sorge spontanea una domanda: Perché tutto questo interesse del bravo professore per le mosche, quale arcano mistero di questi stupidi e fastidiosi insetti l’ha tanto colpito e influenzato al punto di condizionarne l’esistenza? Allora, nel tentativo di dare una risposta, mi immagino che, almeno per un momento, la mosca si sia trasformata in ragno e che il bravo professore si sia lasciato candidamente irretire dalle sue trame e incapsulare nella sottile e vischiosa rete della sua ragnatela. Salvo poi, per un momento, riacquistare, la mosca, le sue primitive fattezze e lisciarsi con soddisfazione le sue zampette anteriori, in attesa della prossima vittima.
*****
Su Caselle, per una ricostruzione storica dalla stupefacente precisione, segnalo il volume dell’autore di questa conversazione. (ap)
https://edizioni.cierrenet.it/volumi/terra-di-passo-e-di-confine/
Il mio bozzolo è stretto, mi chiamano i colori,
e sto cercando l’aria.
Già un’oscura capacità d’ali
mi fa sprezzare l’abito che indosso.
La potenza della farfalla è in questa
attitudine al volo,
che le concede prati di maestà
ed i volteggi facili nel cielo.
E devo tormentarmi nel presagio
e decifrare il segno
e commettere errori, se alla fine
io troverò la mia chiave divina.
Emily Dickinson
Larve e mosche.
Le mosche infastidiscono, le larve fanno proprio inorridire.
Le mosche nascono dalle larve. O meglio, dalle mosche nascono le larve, che poi diventano mosche.
Tra le prime voci di google se si digita “larve di mosca” si trova: 3 modi per uccidere le larve di mosca. Forse è colpa dei miei cookies. O forse le larve si cercano soprattutto per eliminarle.
Viviamo un tempo complicato, in cui tanto ci infastidisce. Tanto ci fa inorridire. Eppure nell’inevitabile visione antropocentrica, questo è un tempo di grande pazienza. Una pazienza attiva.
Un tempo per ascoltare e osservare.
In questo tempo privo di incontri, in cui ci immaginiamo spesso rinchiusi in bozzoli, ascoltiamo la mutazione che ci porterà al volo. In questo atteggiamento di attesa evolutiva la realtà embrionale eppur volteggiante di Villa Angaran San Giuseppe ha messo in piedi un webcast settimanale che raccoglie storie, riflessioni, contenuti delle persone che in qualche modo hanno a che fare con questa composita realtà bassanese.
Il webcast si chiama LARVE – attitudine al volo. E si presenta così:
Le Larve sono embrioni animali che conducono vita libera e che diventeranno adulte attraverso una o più metamorfosi che possono essere drastiche o graduali.
Le Larve hanno un’oscura capacità di ali, vivono tormentate nel presagio, spezzano l’abito che indossano.
Le Larve ci accompagneranno, per tutto l’inverno, a scoprire le mutazioni e i riferimenti culturali della nostra Villa, e del mondo che sogniamo.
Larve – attitudine al volo è il webcast di Villa Angaran San Giuseppe che dal 13 novembre e fino alla riapertura degli eventi dal vivo (ora prossima!) compare tutti i venerdì, alle 14:30 nelle pagine social (Facebook, Instagram, YouTube, LinkedIn) della Villa.
Finora le larve sono state 24, tutte diverse: abbiamo visto pittori, artiste, scrittori, imprenditrici, architetti, poeti, musicisti, fotografe, registe, pedagogisti, lettori, guide alpine e narratori… (le trovate tutte qui: https://bit.ly/3dVLNRX).
Larve ha raccontato, in piccolo e da lontano, un variegato mondo che presto tornerà ad incontrarsi dal vivo, a scambiarsi segreti e tesori.
E tornerà a volare.
Talvolta infastidendo qualcun altro e talvolta emozionandolo.
Marco Lo Giudice e Tommaso Zorzi, Villa Angaran San Giuseppe
….mosca???
Mi viene da chiedere al dott. Schön: quale sarà il meccanismo che porta i bimbi, durante il misterioso e affascinante processo di acquisizione del linguaggio (lo stiamo sperimentando di nuovo, ora, con più maturo stupore, nei riguardi della nipotina di 20 mesi) ad essere particolarmente pronti nell’apprendere le parolacce? Non mi si dica “per imitazione di situazioni ricorrenti”: basta una sola mezza parola, soffocata dalla consapevolezza della presenza dell’anima innocente, perché essa, peraltro completata delle sillabe mancanti, entri con sicurezza nella Treccani della succitata anima.
Per noi, infanti negli anni sessanta e abitanti della profonda campagna veneta, la parola adulta ricorrente era “mona”. Per di più con varie accezioni. Con un po’ di riluttanza, ci spiegavano che “mona” era una persona un po’ stupidotta o dai comportamenti… che dire… disinvolti, irresponsabili. Quello che non veniva spiegato e che però ci colpiva era l’“andare in mona”! Qui i conti non tornavano: che c’entra il “mona” di prima? Andare assieme a lui? E perché “in” e non “con”? No, non doveva essere così.
Anche perché, la frase declinata così, cioè “andare in mona”, era proibita, anzi proibitissima, da genitori, maestri e perfino padri confessori!
Ecco allora diffondersi tra noi, balda ma disorientata gioventù la più tollerata locuzione “andare in MOSCA” (eccoci arrivati al nostro tema!). Certo, rimaneva un po’ di mistero, almeno lessicale: se era la Mosca capitale dello stato comunista, studiata a scuola, perché non dire “A” Mosca, invece che “IN”? Mah, licenze poetiche forse, o semplice assonanza con la “famosa” frase…
Un po’ più avanti, scuole medie, cominciammo a declinare “vai a quel paese”, ma questo era più comprensibile, oltre che tollerato. Effettivamente (e qui tiro in ballo il professor Pase!) un paese di nome “Paese” esisteva davvero, l’avevamo scoperto andando a Jesolo. Ma anche qui restava l’insoddisfazione di capire cosa ci fosse di così particolare, mal augurante o ben augurante, in quel paese che, passandoci, dava l’idea di essere, tutto sommato, abbastanza normale, privo cioè di particolarità.
Finalmente, al liceo, l’arte ci venne in aiuto: assetati di conoscenza circa i movimenti artistici francesi di fine ottocento, una mosca curiosa, posatasi sopra il “Big Bang” di Courbet, ci illuminò, sdoganandoci pure l’atavica espressione!
***
Gentile Roberto Zorzi,
la domanda che pone, “cosa fa sì che i piccoli siano molto pronti a apprendere le parolacce?”, è di quelle che stimolano a una buona riflessione. Grazie.
Credo che sia più di una concausa:
1) i piccoli hanno una spontanea attività esplorativa, molto utile anche da grandi per diventare ricercatori, geografi, psicoanalisti, giornalisti, ecc.
2) hanno una sensibilità alle emozioni e colgono subito il senso di imbarazzo degli adulti, l’interdetto che grava su certe parole che, se sono vietate, devono essere interessanti
2.1) si accorgono subito che con una parola possono esercitare un potere, diventa un gioco
3) la spontanea attitudine alla trasgressione, necessaria per uscire dall’infanzia “Se mangerai quel frutto, morirai!”. Che sottintende “se non la mangerai, resterai bambino per sempre”
4) in certi casi il suono e la carica emotiva inclusa nel nome attirano l’attenzione
5) il fatto che l’ambiente risponda con un turbamento
6) forse qualche no vax ci potrebbe fornire altri dettagli.
Nel caso specifico, la parola “mona” ha una caratteristica in più: è invariabile, nasce femminile, ma tutti conosciamo dei mona maschili e spesso numerosi e pertanto plurali (il correttore automatico segnala errore. Anca lu). E poi, come lei stesso annota, la nascita della vita è un momento rilevante.
Credo che su tali massimi sistemi si possa discettare a lungo.
Un caro saluto,
Alberto Schön
Ciao Andrea,
ieri notte ho letto il tuo libercolo: un cuneo che s’è infilato dritto nella mia mente, pungolandola, come una mosca, per buona parte della notte. Forse il tuo amico psicanalista Alberto mi prenderebbe subito per attività di ricerca!
Dunque …la mosca ronzava e mi son trincerata dentro una MOSCAROLA, tanto per restare in tema, nome derivato da mosca e tipico del nostro mondo rurale. Ne ricordo una appesa al soffitto di una casa contadina, gabbia che conservava il formaggio dall’assedio delle mosche.
Poi timidamente son uscita dalla moscarola e rincorsa dalla mosca mi son rifugiata, con il pensiero, nella stanza delle carte geografiche di Palazzo Vecchio a Firenze. Ho chiuso le grandi porte di getto e mi sono beata in quel luogo di pace che tuttavia costò “lacrime e sangue” ai tanti naviganti del passato. Ma quelle carte m’affascinavano e mi facevano sognare… quando mi ritrovo la MOSCAAA…. eccola, insidiosa; si posa e mi fa ricordare i macelli fatti dai Conquistadores grazie a certe mappe… Rotto l’incanto!
Ma mi rifaccio, la caccio e volo ai tempi della Magna Grecia, tra i templi di Agrigento, a Siracusa… Quante volte a scuola guardavo la carta geografica per raggiungere quei luoghi che allora erano lontani da noi e che ora sono ad una mezz’ora di aereo! Quanto bella fu la loro conquista con 22 ore di treno insieme ai militari che rientravano in licenza… ai miei 18 anni!
E Ulisse? Dai parliamone… una mappa l’avrà pur avuta: mappa d’ingegno e libertà! Altri sogni…altre suggestioni.
La cara amica ronzante però, mi porta la tua frase: “Il territorio è immobile, perfettamente sorvegliabile…” Infranto il mio idillio della geografia, colei che libera gli spazi conosciuti e permette di viaggiare, conoscere, scoprire, contattare persone.
Ecco l’angoscia.
E’ perfettamente vero: il controllo politico territoriale ….anche le carte si chiamano “politiche”,…
Infranto un mito.
Ma recupero.
Ricordo mia figlia a sette anni con la prima mappa di un giardino di una villa inglese ad Ischia, mentre la consultava con un ignaro compagno di scuola giunto in Italia, dall’India, perché adottato. Ecco: la mappa non è più intrappolata (consonanza) si libera in uno spazio inglese, in terra campana, di origine greca, con un’italiana ed un indiano. Quella mappa è il simbolo del riscatto. È lei che recupera dignità perché motivo d ‘incontro multietnico e multi “storico”. Due virgulti che si accingono a scoprire il mondo, grazie a lei.
E che dire, signora mosca che voli e sei veloce più di noi, dei Maghi d’oriente che andarono nella culla di Betlemme? Sì, ho capito li guidò una stella… ma sicuramente anche qualche mappa… e c’era anche una tua antenata, mia cara mosca, che come tutte le creature, curiosamente andò da questo bambino divino… Sicuramente trasportata dai cammelli dei Re Magi, perché, per quanto volasse, non poteva andar così lontano. Anche adesso signore mosche, scroccate il passaggio agli aerei, per quanto siate più veloci di noi nel vedere…
Eccomi riconciliata con la mosca… E infine mi vedo volare anch’io insieme a te mosca, ma come una farfalla leggera, multicolore, che spazia, sogna, immagina si emoziona… sulle ali della fantasia. Spiacente, signora mosca, questo non t ‘appartiene!
Lascio che il pungolo si dissolva, mi son ripresa l’idealità pur nella consapevolezza della realtà spesso dettata dai famosi generali che pongono le bandierine e dettano guerre inutili. Ho messo in discussione l’identità territoriale, ma a volte quei confini offrono sicurezza e ritualità di eventi che scandiscono il nostro tempo del vivere. In fondo il viaggiatore cerca le particolarità di ogni luogo, quelle tramandate nei secoli…. cerca le bellezze create dall’uomo, che ha antropizzato, a volte troppo e negativamente l’ambiente… ma in fondo la geografia non esisterebbe se non ci fosse l’uomo.
Quindi riparto con il mio cavallo alato e grazie a quella GEOGRAFIA, riprendo il mio viaggio interiore, in attesa di quelli fisici. Farò sognare i miei bambini anche annoiandoli un po’; ma costringendoli ad uscire dagli schemi stretti di un centro commerciale…
E come dice Schön: ” Speriamo di conservare la facoltà di intendere e di VOLAREEE”.
Grazie per lo stimolo intellettivo ed emotivo che mi hai dato, non pensavo fosse così forte da indurmi a scrivere …
Mi è venuto di getto e non ho resistito.
Grazie ancora grazie.
Pamela
Maestra Pamela Rizzo
PICCOLO DIALOGO SULLA MOSCA
La mosca si posa sopra la mappa… e poi se ne va.
Diletta: perché la mosca se ne va?
Carlo: se ne va perché conquista altri territori, è curiosa.
Diletta: ho capito perché la mappa è fissa, perché nella realtà gli uomini, gli animali e la natura sono sempre in evoluzione.
Carlo: invece il territorio è delimitato da confini stabiliti dal governo, che restano fermi; ma questo è una garanzia di sicurezza e protezione.
La mappa e il generale…
Matteo: immagino che la carta geografica sia nelle mani di un generale, tutto serio e compunto. Arriva la mosca che lo disturba, così lui si distrae e non può più decidere dove fare guerra, o dove imporre il suo comando, controllando il territorio. La mosca diviene qui un simbolo di protesta e aiuta a ribellarsi alla dittatura. È una mosca “pacifista”.
Daniele: quindi dobbiamo vedere la mosca in modo positivo. Mi viene proprio voglia di inventare una storia.
In riferimento alla favola di Fedro: “la mosca e la mula”.
Alcuni ragazzi: ci sembra una metafora. In questo momento la frusta sibilante ci sembra nelle mani di Trump, in America.
Giulio: se fosse proprio così saremmo nei guai! Infatti l’America è una potenza democratica, se si trasformasse in una dittatura “si salvi chi può”.
Daniele: stavo riflettendo sulla “geografia che descrive il mondo”.
Tutto è geografia, è mondo, anche un piccolo sassolino è una parte di mondo. Quel piccolo pezzo di mondo, appartiene ad un contenitore via via più ampio: dalle regioni alle nazioni, al planisfero intero. Riflettendo: se la geografia è “il tutto”: spazio, uomo, natura, il nostro pianeta……allora la storia è un tutt’uno con la geografia.
Vittoria: la geografia presume di descrivere il mondo, ma non ci riesce, perché il mondo corre più in fretta e i popoli cambiano il territorio non sempre positivamente, facendo anche le guerre. Vedi le carte geografiche di alcuni anni fa, dove c’era l’U.R.S.S., e ora ci sono stati con nomi diversi.
“Il reticolo geografico”.
Daniele: il reticolo geografico mi ricorda il barbecue, dove si cucinano le carni degli animali. Essi appartengono al territorio e quindi facciamo un oltraggio alla geografia.
Diletta: il reticolo è come una rete che ci sorregge e allo stesso tempo ci intrappola.
Giulio: infatti ci dà dei confini, e quindi ci limita.
Matteo: “il reticolo delimita il territorio che ci viene da Dio”. Dio offre agli uomini ciò che serve loro per sostentare le loro vite, nel territorio. Quindi anche la geografia e le carte geografiche con i loro reticoli sono un dono di Dio, attraverso l’uomo che le ha ideate. Di conseguenza a me il reticolo tranquillizza.
LA MOSCA E IL VIAGGIATORE, di Vittoria S.
Un bel giorno d’Estate, arrivò il viaggiatore più famoso al mondo, Roger Redar.
Il giovane diretto in Messico teneva tra le mani una mappa, dopo un po’ di tempo una mosca si appoggiò su di essa e Roger iniziò a porsi una domanda: – Perché si è appoggiata qui? –
E provò a darsi una risposta: – Forse si è posata qui perché crede di conquistare un territorio o forse pensa di conquistare il mondo, (anche se la geografia presume di descrivere il mondo, ma il mondo “corre” più veloce).
La mosca iniziò a parlare chiedendo a Roger: – Come ti chiami? – e dopo – Da dove vieni? –
Il viaggiatore le rispose dicendole il suo nome e di provenire dall’Italia.
E viceversa le fece le stesse domande anche se sorpreso di tutto ciò.
Lei rispose così: – Ciao sono Fosca e non vengo da un posto preciso, mi piace viaggiare per tutto il mondo, sai non ho amici, perché quando chiedo a qualcuno che incontro se vuole essere mio amico mi rifiuta.
Roger rattristito dalla povera storia di Fosca le chiese di essere sua amica e la mosca accettò.
Da quel momento divennero inseparabili amici.
Poi Fosca se ne andò, per trovare altri amici, per posarsi su altre mappe, per conquistare altri territori e Roger proseguì il suo viaggio.
LA MOSCA, di Diletta P.
C’era una volta una mosca molto carina, molto dolce ma se c’era una cosa che non sopportava erano i litigi: Tra fratelli, tra mamma e papà, tra mamma e figli, tra paesi, tra citta, tra stati, tra nazioni.
Insomma qualsiasi tipo di litigio; e in quel periodo la povera mosca Gelsomina stava veramente fumando dalle orecchie perché c’era in corso una guerra.
“Devo fermarli!!” Si diceva Gelsomina “ma in quale modo?” Pensava.
Stette giorni a riflettere su come fermare la guerra quando pensò fra sé e sé: “Se devo fermare la guerra dovrò analizzare la situazione più da vicino!”.
Così il giorno dopo andò al quartier generale del temutissimo Hitler e seguì ogni mossa che faceva!!
Ben tre giorni dopo Hitler si “arrese” e si rifugiò in un bunker sotterraneo dove la piccola mosca gli ronzò attorno così tanto ma così tanto finché costui non andò “fuori di testa”…. e si sparò!!
Finalmente la mosca Gelsomina stava tranquilla e girava di casa in casa a guardare le famiglie che ridevano, giocavano, scherzava o e si volevano bene.
Quando un giorno venne ammazzata da un signore sconosciuto che veniva da molto lontano!
LA MOSCA SMARRITA, di Daniele C.
Il Dottor Thomas Jefferson era stato incaricato di fare una ricerca su Mosca, la capitale della Russia
Su di un foglio c’era scritto cosa doveva contenere la ricerca:
– Le tradizioni
– La cultura del posto
– L’aspetto geografico
Ma c’era un solo problema: lui non sapeva nulla di tutto ciò!
Ad un tratto arrivò una mosca dall’aria smarrita che chiese al professore:
“Scusi Signore, mi sono persa … saprebbe dirmi dove è casa mia?
Sono una mosca e abito a Mosca …”
Il professore stupito disse alla mosca:
“Certo!!! Ma in cambio puoi raccontarmi vari aspetti di quel posto che si chiama proprio come te!
Sai io sono uno studioso”
“Ok” – rispose la mosca.
E così la Mosca iniziò a spiegare.
Quando la mosca ebbe finito il professore le indicò la strada per raggiungere l’aeroporto internazionale ed
in cambio ottenne una magnifica ricerca.
MOSCA SALVA VITA, di Matteo R.
Era una caldissima giornata d’estate non c’era nemmeno l’idea di un filo di vento, anzi l’aria era appiccicosa come il miele.
Matteo doveva studiare per gli esami di maturità ed era molto concentrato nei suoi studi fino a che non arrivò lei: la Moscaccia di turno, unica ed inconfondibile.
Continuava a girare e rigirare attorno alla sua testa formando una grandissima aureola, e catturarla era impossibile perché la sua traiettoria era scombinata. Ogni tanto atterrava sopra il suo libro di geografia e strofinandosi le zampette sembrava che volesse sfidarlo… “Fatti sotto se hai coraggio!” Ma Matteo non poteva spiaccicarla perché avrebbe spalmato il suo corpo sulla pagina del libro e sarebbe rimasta lì per sempre. Cominciò la sfida: sguardo contro sguardo, velocità contro velocità, ma la situazione si faceva sempre più complicata.
La Moscaccia era più furba di una volpe sembrava che fosse stata ad un corso di addestramento per disturbare. Matteo furibondo dovette andare in un’altra camera per studiare. Finalmente poté concentrarsi. Ma all’improvviso… ZZZ… ZZZ… ancora lei all’attacco…. no! noooo! Adesso Matteo Bond chiamò vendetta… lei doveva morire a tutti i costi! Cominciarono a volare scarpe, calzini, magliette, poi lanci di penne matite righelli ma alla fine non ci fu nessun vincitore perché la Moscaccia sparì. Al mattino seguente Matteo si presentò agli esami tutto spettinato e con le occhiaie, sembrava essere stato portato via da un tornado. Quando fu chiamato per l’interrogazione di geografia il professore gli fece vedere la carta geografica e gli fece una domanda… all’improvviso atterrò “lei” e fu in quel momento che proprio dove si era posata, Matteo fu illuminato a dare la sua risposta eccellente.
Tra di loro ci fu in qualche modo uno scambio di sguardi e uscendo dall’aula Matteo si ritrovò con la mosca posata sulla sua lattina di Fanta!
TOSCA LA MOSCA, di Giulio G.
C’era una volta, in Ucraina, una piccola mosca di nome Tosca che svolazzava in giro per il mondo nel tentativo di esplorare i territori esterni alla sua città (Mosca).
Finì sul casco di un guidatore di Vespa (una mosca su una vespa non si era mai vista!) che stava andando ad un incontro con alcuni generali per discutere di possibili territori da conquistare. Tosca, arrivata a destinazione (al congresso dei militari), decise di scendere dal casco per dare un’occhiata alla situazione. Entrò nella struttura e vide un generale che stava per piazzare una bandierina su una mappa proprio al centro di Mosca, Tosca, pensando che le stesse indicando la via di casa, si posò sulla bandiera e con un rapido gesto delle ali cercò di ringraziarlo.
Il generale, infastidito dalla mosca, la scacciò via con un imponente soffio. Finalmente poteva piazzare la bandierina e quando lo fece sentì un grido di dolore: “Ahia!”. Era la mappa.
Il generale, confuso, le chiese cosa era successo. La mappa rispose: “Mi hai fatto male con quella bandierina piazzata nel bel mezzo dell’Ucraina!!”.
“Ucraina?… Ma è la Russia!” disse il generale.
“No! Mosca è appena diventata la capitale Ucraina! Tu sai, vero, che il territorio e la sua popolazione sono in continuo movimento!!”.
Il generale, con l’aria confusa ma felice della bella notizia, rispose di no.
La mappa chiamò Tosca per dirle che Mosca era appena stata conquistata dagli ucraini.
Tosca, sconvolta da una tale notizia, decise per vendetta che la sua nuova casa sarebbe stata in quell’edificio (indicando sulla mappa il punto in cui si trovavano proprio in quel preciso istante).
In un anno di permanenza la mosca diede così tanto fastidio al generale da convincerlo a rilasciare Mosca al governo russo e così Tosca, con l’aiuto della mappa, tornò a Mosca e visse per sempre felice e contenta nella sua bellissima cittadina.
GIONNY E LA SUA AMICA MOSCA, di Leonardo Z.
Un ragazzo di nome Gionny viveva in una torre in mezzo alla foresta amazzonica dell’America meridionale.
Con lui viveva una strega che lo teneva imprigionato perché solo con il suo sguardo la faceva ringiovanire.
La strega gli faceva credere che al di fuori della torre ci fossero bestie feroci e che loro erano gli unici superstiti, così lo teneva con lui.
Il ragazzo dalla finestra scrutava giaguari mangiare capibara e cebi cappuccini dispettosi salire sugli alberi.
Ogni giorno però la foresta regalava a Gionny anche degli spettacoli bellissimi: migliaia di Are dalle ali verdi cioè pappagalli volavano nel cielo rendendolo colorato.
Gionny aveva solo un amico, una mosca che gli portava degli oggetti trovati nella foresta.
Un giorno la mosca ronzava in cerca di cose, finché vide un gruppo di scienziati camminare lungo un percorso.
A uno di loro cadde il telefono e la mosca si fece aiutare da una scimmietta e lo portarono alla torre.
Appena arrivò da Gionny guardarono l’oggetto misterioso incuriositi e toccandolo si accese.
Subito presero paura ma poi comparvero delle immagini bellissime di posti incantevoli e di persone come lui.
Capì che la strega lo aveva imbrogliato in tutti quegli anni e che il mondo era ricco di posti belli e di tante persone e decise di scappare.
Con l’aiuto della mosca seguì le tracce dei viaggiatori avvistati qualche giorno prima, e iniziò la sua avventura in giro per il mondo: spostandosi dalle savane di acacia dell’Africa Orientale, alle foreste del Madagascar, agli atolli delle isole Maldive ed infine al ghiacciaio del Perito Moreno.
Viaggiando e viaggiando Gionny e la sua inseparabile amica mosca arrivarono in una città e girando per le vie entrarono in un museo.
Chiedendo alle persone del posto, capì di trovarsi ad Este e che stava visitando il museo dei Veneti Antichi.
Poi si misero a gironzolare per vie della città, andarono nella torre dell’orologio e per ultimo visitarono il castello, un’imponente fortificazione formato da una cinta muraria e grandi torri. Salirono le gradinate arrivando alla cascata, poi giunsero alla torre del soccorso vi salirono in cima e da lì videro un paesaggio bellissimo: era primavera ed i giardini erano pieni di tulipani rossi, gialli viola. A quella vista ricordarono l’inizio della loro avventura quando erano imprigionati nella torre nel cuore dell’amazzonia e il cielo si colorava ogni mattina con il volo di migliaia di pappagalli variopinti.
LO STUDIOSO E LA MOSCA, di Daniel R.
Uno Studioso stava osservando una cartina geografica, per trovare il luogo preciso dove si doveva
recare il giorno dopo per questioni di lavoro. Una mosca svolazzava, proprio in quel momento li
vicino. Alla fine si posò sulla cartina e indicò’ il medesimo luogo, cercato dallo studioso. Lo studioso
disse: -Brava, mi hai trovato il posto giusto! Il giorno dopo andò a Padova e si recò all’Università per
un corso d’aggiornamento agli studiosi. Mentre spiegava, mostrando la cartina, arrivò la mosca e si
posò sul luogo che voleva indicare lo studioso. Mi hai seguito?…-disse- Allora ti farò mia assistente.
-Da allora la mosca affiancò il Professore in tutte le sue indicazioni cartografiche. Sostituiva il mouse
del Computer e gli indicava perfino i luoghi d’esplorare.
LA MOSCA CHE VIVE A MOSCA, di Marta V.
C’era una volta una mosca che viveva nella piazza Rossa di Mosca e doveva procurare il cibo per la sua famiglia. Ad un certo punto, la mosca non capì dove era finita, ma continuò ad andare avanti senza fermarsi. Dopo un lungo viaggio senza sosta arrivò in Italia. Vide una scuola, la finestra era aperta, così entrò. Vide una carta geografica appesa al muro, c’era un ragazzino che la osservava sognando di fare un viaggio per le vacanze estive. Così la mosca sorvolò il planisfero per ritrovare la sua città. Cominciò a sorvolare la stanza e si avvicinò al professore di geografia, presente in classe, per chiedergli aiuto. Ovviamente lui non capì, infastidito dalla mosca e suo ronzio cercò di mandarla via. Ad un tratto, magicamente, il professore la capì e le indicò sulla carta la direzione da prendere verso Mosca. Lei seguì il dito del professore, uscì dalla classe e si diresse verso casa. Dopo molte tappe la mosca di Mosca arrivò a casa esausta, con un po’ di buon cibo italiano!
LA MOSCA: UN’AIUTANTE DEL GENERALE DELL’ESERCITO, di Carlo S.
Una mosca un giorno entrò da una finestra in un ufficio dove un generale stava decidendo i territori dove riportare la pace. Così posizionò una bandierina in un punto della mappa dove, però non aveva calcolato che in quella zona le forze armate erano forti. Mentre rifletteva sul da farsi la mosca si posizionò, stranamente, in un posto più sicuro dove i militari avevano sotto controllo il territorio per la loro missione di pace.
Il generale alzò la bandierina appena posizionata e, una volta staccata cercò di infilzare la mosca e gridò:
“sciò, sciò, via di qui!!!”
Ma la mosca svelta come una saetta, avendo degli ottimi riflessi, volò via, ma aveva dato il suo contributo? Anche se a modo suo?
Si, infatti il generale si grattò la barba fulva e osservò la carta, poi all’improvviso prese il respiro e disse serio e veramente sicuro di sé:
“Oh oh, sì, ho deciso meglio: qui andremo prima che in altri luoghi per controllare la guerra civile in atto e la fermeremo, così salveremo molte vite umane”.
Poco tempo dopo il generale vittorioso e portatore di pace finì il discorso alla popolazione locale dicendo: ”… e devo ringraziare la mosca che mi ha dato l’idea…”.
Si udì un forte applauso. Quindi il generale si alzò in piedi e lanciò in aria il cappello, seguito dai suoi soldati, felice per la sua missione positiva.
Tutto questo accadde grazie ad una mosca: aiutante del generale dell’esercito.
STORIA SULLA MOSCA FOSCA, di Amy C.
Ciao a tutti, io sono la Mosca Fosca!
Vi racconto cosa ho fatto l’ultimo giorno!!
Sono andata a disturbare il Tenente Colombo, lo conoscete tutti no!?
Egli stava guardando la mappa della sua città per le sue indagini.
Era andata lì a protestare e indagare perché lui aveva schiacciato una mia amica. Dovete sapere che io sono una detective – mosca!
Così ho cominciato a disturbarlo. Lui subito voleva schiacciarmi e così si è messo a correre per tutta la stanza, inciampando e mettendola a soqquadro.
Ad un certo punto mi fermai ad osservare la mappa chiedendomi “Ma come fa a starci tutto un territorio così grande in una carta così piccola?”
Ero talmente affascinata da questa carta che avevo deciso di andarmene per vedere se altrove ci fosse una carta più grande da confrontare e così me ne andai.
Il Tenente fu contento perché non aveva più ostacoli e poteva continuare il suo lavoro, tuttavia si girò e vide tutta la sua camera a soqquadro. Doveva proprio lavorare per riassettare.
Io da allora me ne volai di mappa in mappa a sognare un mondo da conquistare.
RACCONTO DELLA MOSCA SULLA MAPPA, di Bianca A.
Una mosca era entrata in un’aula di una scuola primaria, dove al suo interno si trovavano cartelloni, cartine geografiche e alunni, alunni molto infastiditi dalla mosca perché essa non stava mai ma proprio ma ferma e gli infastidiva.
Durante la ricreazione, i bambini provarono in tutti i modi di acchiapparla ma non ci riuscivano mai da quanto era veloce e scaltra, fortunatamente dopo un paio di minuti suonò la campanella e così tutti andarono ai propri posti.
L’insegnate in quell’ora doveva spiegare la Toscana: regione Italiana, e, in la mosca si era posata sopra la cartina dell’Italia e proprio sopra la Toscana, e i bambini sapevano che quando la loro maestra glielo avrebbe domandato, bastava solamente cercare la mosca e indicarla.
Quel giorno i bambini se lo ricordarono per sempre, ancora adesso, e quando la loro
insegnante gli chiedeva dove si trovava la Toscana, loro glielo dicevano chiamandola “la regione dove si posò la mosca”.
LA PICCOLA MOSCA SAGGIA, di Margherita P.
Un giorno una mosca si posò sulla mappa di un generale che voleva conquistare nuovi territori.
La mosca disse al generale:
-Grande generale che vuoi conquistare territori sconosciuti e conosciuti, non serve far guerra. A te serve soltanto una casa: che sia piccola, grande, bassa, alta, bella, brutta. Basta che dentro ci siano i tuoi cari.
Il generale, che non era d’accordo, rispose alla mosca:
-Piccola mosca, lei non capisce che gli uomini hanno sempre combattuto per ottenere ciò che volevano. Quindi voi, piccola mosca, non avete diritto di dire questo.
La mosca spazientita si mise a ronzare nelle orecchie del generale dicendo frasi di cui non si capiva l’origine.
Poi si riposò sulla mappa, sopra la Russia, il generale non capiva cosa volesse dire la piccola mosca, allora chiese:
-Io non capisco, piccola mosca, cosa lei voglia dire?
La mosca rispose:
-Io dico giusto, è lei che sbaglia!
Il generale chiese cosa fosse il giusto e il sbagliato, la mosca non rispose alla sua domanda e disse:
-Sta alle persone stabilire ciò che è giusto e sbagliato. Come il bambino che pensa che i genitori non abbiano ragione.
A quel punto la mosca volò via, lasciò il generale immerso nei suoi pensieri.
Recensioni
“Questo è un libro che si presta a molte letture. Tutto d’un fiato, con l’ansia di capire dove quella mosca fastidiosa e curiosa voglia andare a posarsi. Oppure centellinandolo, a piccole dosi, come i brevi e rapidi voli di una mosca, irrequieta, che li alterna a momenti di immobilità, piena di riflessione e mistero. Diverse, magari molte, possono essere le riletture, perché la rapidità dello sguardo e dell’intuizione richiedono poi tempo per riflettere e fare connessioni, e forse questo fa la mosca, ferma, tutta intenta a pulirsi le zampette.”
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“In meno di 90 pagine si incontrano, dopo l’introduzione di Schön, un «itinerario in venti passi» (a ogni passo corrispondono un’immagine e il suo scanzonato commento) e una ricchissima e articolata Bibliografly (pp. 58-69). Per analogia, mi vengono in mente le corone di sonetti realizzate e stampate nel tardo Settecento veneto da intellettuali complici, mettiamo un aristocratico e un abate, su argomenti disparati, dall’elogio della vita in villa all’utilità dell’allevamento del bigatto o baco da seta… Sempre di insetti si tratta, in questo caso, passati per le cure di uno psicanalista e di un professore di Geografia storica, ma il gioco è lo stesso, l’impegno nel gioco è lo stesso.”
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“Nell’Introduzione di un delizioso libro di Andrea Pase, geografo, dal titolo Geografly, Schön, trae spunto dalla fotografia (scattata da lui stesso) di una mosca poggiata su una mappa geografica. Da qui si sviluppano una serie di pensieri e associazioni, di “possibilità” (pg. 13) tra “due oggetti, due persone, due figure” (ibidem).
Allo stesso modo nascono cose nuove attraverso crasi che, come nella poesia rivelano l’essenza e l’essenzialità. Ad esempio il neologismo Geografly “compone lo studio della terra Gea con il volo fly”, e ancora “Desiderio è una parola che racconta questo: de e sidera, separati dalle stelle.”(ibidem. pg 13)”
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“Esplorare questo libro, più che leggerlo, permette di immergersi lentamente nell’atmosfera che emana il nostro spazio mentale in un contesto libero vagante e ricco di luci e ombre, in una apparente immaterialità che lascia il lettore più pronto a sognarsi nel reale, nel tempo e nello spazio, perché “ciascuno cresce solo se sognato”(Danilo Dolci).”
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“Il formato, la carta, l’attenzione a tutti i singoli dettagli, la grafica curatissima, il carattere tipografico, la qualità delle immagini, l’uso sapiente e discreto del colore, tutto davvero un piacere, ancor prima del contenuto. E poi è bellissimo, leggendo e guardando le immagini, come si fa da bambini, lasciarsi spiazzare ed aprire la mente dall’inatteso, dai cambi di prospettiva, dai giochi linguistici, riflessioni, citazioni. Giocare a cercare i dettagli nascosti in ogni dove.”
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